domenica 25 marzo 2007

Filippo de Pisis, tra poesia e pittura



Filippo de Pisis e' lo pseudonimo di Luigi Filippo Tibertelli nato a Ferrara l' 11 maggio 1896. Affetto da disturbi nervosi, nel 1915 de Pisis venne ricoverato all'ospedale psichiatrico di Venezia. In seguito visse tra Ferrara e Bologna, nelle cui Università studiò lettere e filosofia dal 1916 al 1919. Pubblica nel 1916 i 'Canti della Croara', primo volume di prose, dedicato a Pascoli e con la prafazione di Govoni, che già documenta la poetica dell'immediato contatto spontaneo con la realtà e dello 'stupore' di fronte al mondo, necessari all'artista. Nello stesso anno pubblica ‘Emporio’. Compie studi di botanica e di entomologia, sull'arte antica ferrarese e sull'arte moderna in generale. È in relazione con poeti, scrittori e artisti, Binazzi, Bacchelli, Raimondi, Soffici, Tzara, Apollinaire, e con Savinio e De Chirico, militari, giunti nella Villa del Seminario di Ferrara, la 'Villa degli enigmi'. Nella concezione di De Pisis è precocemente presente l'elemento metafisico, lirico, drammatico, di sogno, che si carica d'ironia burlesca o dolorosa. Vede nascere i capolavori metafisici di De Chirico. Nel 1918, il romanzo breve 'Mercoledì 14 novembre 1917' conferma la sua adesione alla Metafisica. Laureato nel 1920, pubblica 'Il Signor B'; vive a Roma fino al 1925. Pubblica 'La città dalle cento meraviglie' presso le edizioni Bragaglia; conosce Comisso e Spadini; decide di dedicarsi alla pittura (ma le prime prove e le miniature datano dal 1908) ed espone alla Casa d'arte Bragaglia. Lavora sul tema delle nature morte e dei nudi maschili. Nel 1925 si reca a Parigi dove ritrova De Chirico e conosce Braque, Picasso, Matisse, e Joyce, Svevo, Max Jacob e Cocteau. Affronta il tema della veduta di città. Espone alla Galérie Carmine nel 1925 e alla Galérie Au Sacre du printemps, presentato da De Chirico, nel 1926. Studia la pittura francese da Delacroix all'Impressionismo ai Fauves e dipinge con estrema sensibilità senza perdere un appunto della quotidanità. Dal 1926 data il diario degli anni parigini fino al 1932: 'Il marchesino pittore'. Nel 1930 fa da guida a Comisso a Parigi. Partecipa alla mostra '22 Artistes italiens modernes' alla galleria Bernheim con Funi, Broglio, Tozzi, Savinio, Casorati, Scipione e Léonor Fini. Dall'ultimo terzo degli anni '20 entra nei suoi quadri una tipica leggerezza e rapidità di tocco e una luce diafana che provocano una sensazione di estatico estraniamento. Il pittore entra ora in comunicazione di sensi col soggetto che non è piò solo pretesto per una costruzione intellettuale. Passa alcune estati in Cadore. La morte della madre segna profondamente la sensibilità dell'artista. Nel 1930 esce la monografia a firma di Waldemar George. Partecipa alla Biennale di Venezia, viaggia in Olanda con Marino Moretti. Dipinge 'Il gladiolo fulminato': il 'Nudino sulla pelle di tigre', 'La granseola'. Nel 1935 espone alla galleria Zwemmer di Londra anche le opere ivi eseguite, freneticamente segniche e innovative. Esce a Parigi la monografia prefata da Paul Fierens. Affianca alle vedute parigine opere di trasognata meditazione come 'Una rosa sta buttando' del 1938. In vacanza a Cortina nel 1939 non può rientrare in Francia a causa lo scoppio della seconda guerra mondiale. Si stabilisce a Milano e partecipa alle maggiori mostre nazionali a partire dalla Quadriennale dello stesso 1939. Esegue alcuni ritratti di violenta gestualità. Ha casa e studio in via Rugabella. Sigla i dipinti con le lettere 'V.R.'. Riaffiorano nella sua pittura componenti letterarie. È nuova la severità compositiva, forte la concentrazione. Ritrova De Chirico. Dipinge sul tema dei derelitti, dei poveri Santi di Govoni. Allestisce una personale alla galleria dello Zodiaco di Roma. Dopo i bombardamenti su Milano nel 1943 si trasferisce a Venezia in San Barnaba. Dipinge 'Piazza San Marco durante la guerra'. Comincia a esser tormentato da emicranie. Nel 1946 realizza due grandi pannelli per l'Hotel Continental di Milano, con lo sguardo rivolto alla grande pittura veneta. Esegue splendide vedute veneziane, impostate su diversi registri e una desolata 'Natura morta in grigio'. Dopo un soggiorno a Parigi nel 1948, con la nipote Bona, rientra a Venezia, in precario stato di salute per una forma di arteriosclerosi precoce che avanza inesorabilmente e lo tormenta con emicranie e senso d'apprensione. Compie alcuni ritratti fortemente introspettivi ma privati di vitalismo. L'artista subisce un primo ricovero a Villa Fiorita di Brugherio ed esami alla Clinica neurologica di Bologna. Rientra a Venezia. Si dedica a composizioni di fiori dal linguaggio essenziale, permeato da vasti silenzi, dalla cromia spenta. Il Castello Estense di Ferrara ospita la sua prima ampia antologica nel 1951. Trascorre a Villa Fiorita di Brugherio gli ultimi anni, dipingendo nella serra dell'istituto le ultime opere, le nature morte con le ragnatele, con la trota, con la penna, permeate di devastante tristezza, entro il '53, fino alla morte nel 1956. Tra le grandi mostre dedicate all'artista, le antologiche ferraresi a Palazzo del Diamanti nel 1973 e a Palazzo Massari, nel centenario della nascita, nel 1996, con la donazione della collezione Malabotta di Trieste al Comune di Ferrara.

martedì 20 marzo 2007

Il grande astrattista friulano che "dipinge l'aria": Afro Basaldella



Afro Basaldella nasce a Udine nel 1912. Studia a Venezia e Firenze. Nel 1928 espone alla I Mostra della Scuola friulana d'avanguardia e, l'anno successivo, alla XX Esposizione dell'Opera Bevilacqua La Masa a Venezia. Grazie alla Borsa di studio della Fondazione Marangoni, nel 1929 si trasferisce a Roma. Qui entra in contatto con i protagonisti della Scuola Romana: Scipione, Mario Mafai e Corrado Cagli. Nel 1932 è a Milano. Col fratello Mirko, che è scultore, frequenta lo studio di Arturo Martini. Conosce Birolli e Morlotti. Nel 1933 espone alla Galleria del Milione. Nel 1934 Afro torna a Roma. Si lega al gruppo di artisti (Capogrossi, Cavalli, Fazzini, Guttuso, Leoncillo, Pirandello) che gravita attorno alla Galleria della Cometa di Libero de Libero e Corrado Cagli. Sono gli anni degli affreschi per il Collegio dell'Opera Nazionale Balilla di Udine (1936), ora scomparsi. Nel 1935 espone alla Quadriennale di Roma, nel 1936 alla Biennale di Venezia. Nel 1937 è a Parigi. Insieme a Corrado Cagli, lavora alle decorazioni per l'Esposizione internazionale. Si lascia suggestionare dalla pittura impressionista e cubista. Tornato a Roma, tiene una personale alla Galleria della Cometa, dove dimostra grande maestria compositiva e notevole temperamento cromatico. Gli anni successivi lo vedono impegnato in numerose opere ad affresco. Lavora a Rodi (Villa del Profeta e Grand Hôtel delle Rose) e a Udine (casa Cavazzini). Nel 1939 Afro partecipa alla III Quadriennale di Roma ed espone col fratello Mirko a Torino e a Genova. Partecipa anche a numerose mostre a risvolto sociale, tipiche di quegli anni, e ad alcune edizioni del Premio Bergamo. Nel 1940 espone alla Biennale di Venezia con Montanari e Tamburi. Con lo scoppio della guerra, Afro si trasferisce a Venezia. Conosce Vedova, Turcato, Santomaso e insegna all'Accademia di Belle Arti. Dopo il 1945, superata una breve fase espressionista, Afro approda a una sintesi lineare e coloristica, che si ricollega al suo interesse per il cubismo. Nel 1948 Afro partecipa alla Quadriennale di Roma e alla "famosa" Mostra di arte contemporanea di Palazzo Re Enzo a Bologna, su cui si riversano le critiche di Palmiro Togliatti. Il 1949 è un anno importante per l'evoluzione artistica di Afro. Dopo aver esposto al MoMa di New York alla mostra "XXth Century Italian Art", passa qualche mese in America. Entra a far della "scuderia" della gallerista newyorchese Catherine Viviano e si avvicina alla produzione degli artisti americani dell'Action Painting, Kline e De Kooning in particolare. Ma anche Gorky. Nel 1951 Afro torna a Roma. Partecipa alla mostra "Arte astratta e concreta in Italia" alla Gallera Nazionale d'Arte Moderna di Roma e ad alcune collettive. Vince il primo premio alla Biennale di San Paolo del Brasile. Tra il 1952 e il 1954 entra a far parte del Gruppo degli Otto in cui confluiscono molti artisti del Fronte Nuovo delle Arti (Birolli, Morlotti, Turcato, Santomaso, Vedova). Insieme a tutto il gruppo, patrocinato da Lionello Venturi, Afro espone alla XXVI e alla XXVII Biennale di Venezia (1952 e 1954), ad Hannover, Colonia e Berlino. Nel 1955 Afro espone alla prima Documenta di Kassel, alla Quadriennale di Roma e alla mostra "The New Decade: 22 European Painters and Sculptors" al MoMA di New York. La mostra sarà presentata a New York, Minneapolis, Los Angeles e San Francisco. Tiene anche un'importante personale alla Viviano Gallery. Vengono presentate dodici opere tra le quali Libro giallo e Ragazzo col tacchino successivamente acquisite dal Museum of Modern Art di New York. È ormai famoso a livello internazionale e la Biennale di San Paolo gli conferisce un'altra onorificenza. Accentua una gestualità larga, di lirica evocazione, sostenuta dalla conoscenza dell’Action Painting americana (Gorky in particolare) nel corso del soggiorno negli Stati Uniti (1950): ma la sua è una linea tutta "italiana", intrisa di luce, attenta a larghi accordi di ritmo, che s’imporrà a livello internazionale. Nel ’56 vince il primo premio quale miglior artista italiano alla Biennale di Venezia, edizione nella quale partecipa con una sala personale. Nel 1957 torna in America. Lavora come "artist in residence" presso il Mills College di Oackland, dove realizza gli studi preparatori per Il Giardino della Speranza, destinato alla sede centrale dell'Unesco a Parigi. Gli anni successivi lo vedono impegnato in numerose mostre internazionali: Documenta di Kassel (1959 e 1964), Biennale di Venezia (1960), Guggenheim Museum of New York (1961), Mathildenhöhe di Darmstadt (1967), Kunsthalle di Darmstadt (1969-70), Neue Nationalgalerie di Berlino, Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Nel 1973 Afro partecipa alla X Quadriennale di Roma nell'ambito della mostra "Situazione dell'arte non figurativa". Muore a Zurigo nel 1976. Nel 1978 la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma gli dedica una grande retrospettiva. Nel 1992 è la volta di Palazzo Reale a Milano.

domenica 18 marzo 2007

Mario Tozzi il metafisico dimenticato



Nato a Fossombrone in provincia di Pesaro nel 1895 Mario Tozzi è stato uno dei più originali ed innovativi artisti italiani del '900, un grande Maestro della pittura, troppo lungamente trascurato dai circuiti internazionali dell'arte. Dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale, nel 1920 si trasferisce a Parigi dove sposa Marie Therese Lemaire ed entra in contatto con De Chirico, Campigli, Savinio, De Pisis con cui fonda il Gruppo dei Sette che si richiama concettualmente ed esteticamente alla pittura metafisica.Ben presto Tozzi trova una sua dimensione pittorica, realizzando dipinti di grande originalità ed intensa suggestione che gli valgono i riconoscimenti della critica, numerosi premi e persino l'ammirazione di Picasso. Attraverso una serie di pubblicazioni ed articoli il pittore realizza il suo ideale d'artista capace di esercitare anche la funzione dell'intellettuale completo che sa rappresentare la propria visione del mondo sia nei quadri che nella pagina scritta. Siamo alla prima metà degli anni Trenta, periodo in cui la sua fama è al culmine e le sue opere entrano a far parte dei maggiori musei europei, mentre dal governo francese riceve la legion d'onore per straordinari meriti culturali.E' il periodo della maturità creativa: la tecnica pittorica si fa sempre più raffinata, la prospettiva e la composizione dei suoi dipinti sembrano proiettarsi in una dimensione dove le figure appaiono immobili, statuarie quasi fossero collocate in luoghi irreali e misteriosi. Un'arte influenzata dalla suggestione metafisica che vuole superare i limiti del reale, mostrando il significato simbolico degli oggetti, il loro inconsueto accostamento in spazi architettonici in cui prevalgono immagini femminili, diventate protagoniste quasi esclusive dei suoi quadri.Mario Tozzi è sempre stato un pittore geniale e dotatissimo che ha vissuto l'esperienza unica di dover interrompere, per più di vent'anni, un'attività artistica di prim'ordine. Sospensione creativa dolorosa, dovuta a gravi motivi di salute. Nel 1936 lascia Parigi e il lavoro stabilendosi a Suna, sul lago Maggiore, dove trascorrerà buona parte dell'anno senza mai dipingere o limitandosi a collaborare saltuariamente all'allestimento di alcune mostre che gli verranno dedicate, soprattutto a Venezia e Milano.Nel 1958, migliorate sensibilmente le sue condizioni di salute riprende a lavorare sui dipinti, recuperando i temi di un tempo, in prevalenza volti e figure femminili. C'è però una nuova ispirazione nella sua pittura, una svolta estetica che gli fa abbandonare la figurazione classicistica per sostituirla con un'ulteriore rarefazione delle immagini.Una rarefazione geometrica che mostrerebbe apparentemente un nuovo Tozzi. Tuttavia egli non diventa un pittore astratto, né rinnega il suo rapporto logico, ordinato con la realtà sconvolgendone proporzioni e volumi. L'ultimo ventennio della sua produzione si caratterizza per un singolare tratto creativo che gli fa dipingere un mondo quasi geometrico in cui la dimensione della bellezza continua ad essere rappresentata dalla grazia femminile, dai visi e dai corpi di una o più donne colte nell'eterno fascino della loro essenza. Però le loro fisionomie si sono geometrizzate, i volti ovoidali non ritraggono più l'immagine reale o individuale, ma il concetto stesso della bellezza universale, di una femminilità che fluisce per sempre in uno spazio senza tempo.Mario Tozzi torna spesso a Parigi negli ultimi anni a rivedere la figlia, i nipoti e i luoghi delle sue esperienze artistiche più significative. Nella capitale francese morirà nel 1979.A ben guardare scopriamo, nei dipinti geometrici dell'ultimo periodo, l'iperuranio cercato dai filosofi antichi, la dimensione invisibile e perfetta in cui il dolore di ciascuno di noi, la violenza del mondo, ogni angoscia della vita si annullano per sempre nel dolce equilibrio della forma.

venerdì 9 marzo 2007

Arte, pittura e fumetto: Roy Lichtenstein



Nato nell'Upper East Side di Manhattan il 2 ottobre del 1923 Roy Lichtenstein cresce in una serena e tranquilla famiglia borghese. Nel 1940 segue un corso estivo di pittura presso la Art Students League tenuto da Reginald Marsh, un esponente del realismo sociale americano. Conseguita la maturità, s'iscrive alla Ohio State University, frequenta fino al '43, quando viene chiamato alle armi. Durante il servizio militare, Lichtenstein realizza su richiesta di un superiore copie ingrandite di fumetti tratti dalla rivista dell'esercito “Stars and Stripes”. Egli ricorderà in seguito che l’ordine gli parve seccante e i fumetti divertenti, ma insignificanti. Dopo un breve soggiorno in Europa, nel '46 torna negli USA e conclude gli studi presso l'università dell'Ohio, dove rimane come assistente fino al '51. In quell'anno, si trasferisce a New York con la prima moglie Isabel Wilson ed i figli David e Mitchell. Il 1960 è un anno importante per Lichtenstein: viene nominato assistente al Douglas College di Rutgers, New Jersey e qui conosce Allan Kaprow, all'epoca suo collega, grazie al quale entra in contatto con Segal, Dine e Oldenburg e con vari membri di Fluxus. Lichtenstein inizia a dedicarsi ad un'arte nuova e diversa. Scommette sul fumetto, le cui immagini fuori misura ed i cui enunciati ottusi sembravano riflettere la fiducia nel futuro della nuova classe media emersa dalla guerra. Nasce così uno dei grandi filoni di quella che proprio in quegli anni si andava delineando come arte Pop. Sono di questo periodo le ragazze in lacrime, gli oggetti domestici e i primi, significativi dipinti bellici, anch'essi tratti dai fumetti (Takka Takka, 1962). Con l'opera Art, 1962, Lichtenstein affronta il tema dei rapporti fra arte e linguaggio. L'opera si autodichiara "arte": imitando le tecniche di comunicazione dei media, Lichtenstein trasforma la parola simbolo degli ideali più alti dell'estetica in uno slogan di uso quotidiano e così pone la questione di che cosa sia realmente "arte". Nei fumetti ritrova l'oggetto casuale di Duchamp: un ready-made che egli modifica, cambiando il contesto in cui viene utilizzato. Elaborati un proprio stile ed una tecnica personalissima, Lichtenstein prosegue nel corso della sua lunga carriera a confrontarsi con l'arte e gli artisti del passato (Cézanne, Mondrian e Picasso) le cui opere erano ampiamente diffuse da riproduzioni utilizzate nei contesti più disparati. In questo continuo dialogo fra arte "alta" e arte "popolare" l'artista reinterpreta, alla luce del suo linguaggio, elementi costitutivi della tradizione artistica: da qui le serie dei Riflessi e quella dei Brushstrokes.Tra la metà degli anni ’70 e i primi anni ’80, Lichtenstein lavora sulla serie degli Still Life, mentre torna a confrontarsi con i grandi movimenti del passato, dal Futurismo al Surrealismo all’Espressionismo tedesco. Con gli Interiors degli anni ’90, l’artista riprende alcune tematiche già affrontate in precedenza. Immagini tratte dai media e dalle Pagine Gialle (bagni, camere da letto, soggiorni) caratteristici della cultura del consumo, rappresentano un tipo di realtà e sono messe a confronto con una realtà diversa, quella dell’arte rappresentata sulle pareti di quegli stessi interni. Si tratta di due livelli distinti di realtà. La sua prima personale si tiene presso la Leo Castelli Gallery nel marzo del '62. Questa è seguita a breve distanza (giugno '63) dalla prima monografica europea, tenutasi presso la Sonnabend Gallery di Parigi. Nel gennaio del '65 lo Stedelijk Museum di Amsterdam acquista per le sue collezioni il trittico bellico As I Opened Fire, pazientemente strappato a Castelli dall'allora direttore del museo olandese durante una serata rimasta leggendaria. Roy Lichtenstein entra così a far parte di quell'Olimpo dell'arte con il quale costantemente si era posto in rapporto dialettico. La sua ultima personale di rilevanza internazionale gli è stata dedicata dal Guggenheim Museum di New York nel 1994. Roy Lichtenstein si è spento a New York il 29 settembre 1997.


Per chi fosse interessato a quest'artista riportiamo di seguito i luoghi e le date dove poterlo vedere:

dal 17.6.2007
Picasso and American Art Walker Art Center, Minneapolis, MN

dal 27.5.2007
Upon an Ether Sea: Water and Ship Imagery from the MCA Collection Museum of Contemporary Art Chicago - MCA Chicago, Chicago, IL

fino al 28.5.2007
Picasso and American Art San Francisco Museum of Modern Art, San Francisco, CA

fino al 20.5.2007
Roy Lichtenstein Fundación Juan March, Madrid

fino al 29.4.2007
Sixties! - Art, fashion, design, film and photography Gemeentemuseum Den Haag, Den Haag

fino al 17.3.2007
American Master Prints Alan Cristea Gallery, Londra (Inghilterra)

fino al 11.3.2007
Roy Lichtenstein Prints 1956-97 Palm Springs Art Museum, Palm Spring, CA

sabato 3 marzo 2007

Buchi, tagli,materia e un nuovo concetto di spazio: Lucio Fontana



Lucio Fontana nasce in Argentina il 19 febbraio 1899 a Rosario di Santa Fé. Il padre Luigi, italiano, in Argentina da una decina d'anni, è scultore e la madre, Lucia Bottino, di origine italiana, è attrice di teatro. A sei anni si stabilisce con la famiglia a Milano, dove, nel 1914, incomincia gli studi alla Scuola dei maestri edili dell'Istituto Tecnico "Carlo Cattaneo". Interrompe gli studi e parte per il fronte come volontario, ma la sua guerra dura poco: viene ferito e presto giungono il congedo ed una medaglia al valor militare. Nel 1927 si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Brera e segue i corsi di Adolfo Wildt. È di questi anni il suo esordio come scultore originale: "Melodías" (1925), "Maternidad"(1926), monumento a Juana Blanco a Rosario(1927). Nonostante la lontananza, continua a mantenere intensi contatti con il Sudamerica, dove effettua frequenti viaggi e dove apre uno studio di scultura. Si diploma all'Accademia di Brera nel 1930, e comincia a partecipare regolarmente alle esposizioni, continuando però a realizzare sculture di concezione commerciale. Realizza monumenti funerari e commemorativi. Stringe rapporti con il gruppo degli architetti razionalisti, collaborando ai loro progetti con sculture e rilievi. Un'attività che porterà avanti per buona parte della sua vita. Nel 1934 Fontana entra in contatto con l'ambiente dell'astrattismo lombardo legati alla galleria milanese "Il Milione". L'anno dopo, si lega al gruppo parigino "Abstraction-Création". Alterna opere astratte, come le tavolette graffite o le sculture in ferro filiformi, con le ceramiche "barocche", che realizza presso le fornaci di Albisola e Sèvres. Nel 1939 prende parte alla "Seconda mostra di Corrente". Lucio Fontana torna a Buenos Aires nel 1940, dove frequenta i gruppi d'avanguardia e partecipa alla stesura del "Manifesto Blanco" (1946), che segna la nascita dello "Spazialismo". Nel 1946 è di nuovo in Italia. Qui riunisce subito attorno a sé numerosi artisti e pubblica il "Primo Manifesto dello Spazialismo". Riprende l'attività di ceramista ad Albisola e la collaborazione con gli architetti. Il 1948 vede l'uscita del "Secondo Manifesto dello Spazialismo". Nel 1949 espone alla Galleria del Naviglio "L'ambiente spaziale a luce nera" suscitando al tempo stesso grande entusiasmo e scalpore. Nello stesso anno nasce la sua invenzione più originale quando, forse spinto dalla sua origine di scultore, alla ricerca di una terza dimensione realizza i primi quadri forando le tele. Nel 1950 esce il "Terzo manifesto spaziale. Proposta per un regolamento". L'anno successicvo alla IXº Triennale, dove per primo usa il neon come forma d'arte, legge il suo "Manifesto tecnico dello Spazialismo". Partecipa poi al concorso indetto per la "Quinta Porta del Duomo di Milano" vincendolo ex-aequo con Minguzzi nel 1952. Firma poi con altri artisti il "Manifesto del Movimento Spaziale per la Televisione", ed espone in modo compiuto le sue opere spaziali alla Galleria del Naviglio di Milano. Scatenzndo di nuovo entusiasmo e sgomento, oltre a forarle, Fontana dipinge ora le tele, vi applica colore, inchiostri, pastelli, collages, payettes, gesso, sabbia, frammenti di vetro. E' ormai noto e apprezzato anche all'estero. Passa poi alle tele dipinte all'anilina e alle sculture spaziali su gambo. Sul finire del 1958 realizza le prime opere con i "tagli", che riproporrà nel 1959 su tela, con il titolo "Concetto spaziale". Del 1959 sono anche le sculture in bronzo "Natura". Nel 1960, parallelamente alle tele con i tagli, avvia il ciclo di tele con i cosiddetti "Crateri", squarci prodotti nella tela, spalmata di colore ad olio. Nel 1962 è la volta dei "Metalli", lastre di ottone o acciaio squarciate. Nel 1963 appare la notissima serie della "Fine di Dio", grandi tele ovali verticali monocrome, recanti squarci. Nel 1964 è la volta dei cosiddetti "Teatrini", tele con buchi, incorniciate da bordi sagomati in legno che simulano una quinta teatrale. Rientrano nell'intensa attività espositiva di questi anni, la retrospettiva del Walker Art Center di Minneapolis e il Gran Premio per la pittura della Biennale di Venezia, entrambi del 1966. Dell'anno seguente sono le "Ellissi", le sculture in metallo verniciato e le scenografie del Ritratto di Don Chisciotte per la Scala di Milano. Poco dopo essersi trasferito a Comabbio, in provincia di Varese, dove restaura la vecchia casa di famiglia e installa il suo nuovo studio, Lucio Fontana muore il 7 settembre 1968. Nel 1982 Teresita Rasini Fontana, moglie dell'artista dà vita alla Fondazione Lucio Fontana. Ancora oggi la Fondazione costituisce una delle iniziative meglio gestite nel campo della valorizzazione e della tutela del lavoro di un artista. La presenza di opere di Lucio Fontana nelle collezioni permanenti di più di cento musei di tutto il mondo sono un'ulteriore conferma dell'importanza della sua arte.


Per chi volesse approfondire quest'artista riportiamo di seguito i luoghi e le date dove poterlo vedere:

fino al 6.5.2007
Von Edvard Munch bis Barnett Newman – Die Sammlung der Neuen Nationalgalerie Neue Nationalgalerie, Berlino

fino al 11.3.2007

Carla Accardi trifft Lucio Fontana MARTa Herford, Herford